Ogni volta che leggo qualcosa di Murakami Haruki ho la sensazione di muovermi in un mondo che ha la consistenza della melassa – sì dai, quella specie di caramello alla cannella dal sentore esotico che si trova nei biscotti di Tiger o dell’Ikea.
E’ una sensazione che deve essere in qualche modo legata all’anima dei giapponesi; l’ho ritrovata anche in Banana Yoshimoto e nei (pochi, ammetto) film giapponesi che mi è capitato di vedere.
E’ viscosa, non saprei spiegarla meglio, e resta sulla pelle anche quando chiudo il libro. Non è spiacevole, tutt’altro: ero impaziente di provarla ancora quando, dopo qualche anno di pausa da Murakami, ho iniziato L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio.
E l’ho trovata lì, a poche pagine dall’inizio della storia del giovane Tsukuru, quando ho timidamente iniziato a scrutare i confini del dolore e della solitudine di un giovane piombato nell’immensa Tokyo, rincorrendo un sogno, quello di costruire stazioni, e tagliato fuori senza apparente motivo dal gruppo degli indivisibili amici del liceo.
Murakami, l’incolore Tazaki Tsukuru e la melassa
Una telefonata misteriosa e poi un silenzio tombale, assordante. Il baratro della solitudine e l’agonia di un cuore spezzato che desidera solo la morte.
Quella sensazione era ben tangibile quando, percorrendo le vie di Tokyo e sedendo ad osservare il viavai di treni nelle immense stazioni della città con Tsukuru, cercavo anch’io con lui di tendere l’orecchio ad un messaggio misterioso, “un rumore indecifrabile che, come un vento violento che attraversa un bosco, variava d’intensità, giungendo, a volte, a trapanarti le orecchie”.
Un rumore che potevo anch’io cogliere distintamente correre attraverso un isolamento e una solitudine che “erano diventati un cavo lungo centinaia di chilometri tesi fino allo spasmo da giganteschi argani”, ma che non comprendevo, né Tsukuru poteva comprendere.
La stessa sensazione era ormai attaccata alla mia pelle quando ho seguito il suo pellegrinaggio alla ricerca di una verità che gli avrebbe forse permesso di risorgere, di sciogliere quel grumo di ghiaccio nello stomaco che gli impediva di guardare davvero avanti, di amare senza più riserve.
Insomma, ho sentito la vita di Tsukuru che mi abbracciava, densa e tiepida, di una consistenza tutta giapponese, con la sua sapientissima e unica combinazione di spiritualità profondissima e sensualità quasi perversa.
Non che all’inizio sia facile muoversi nella melassa.
I movimenti sono lenti; i silenzi vanno decifrati; le parole, anche se scritte nel nostro alfabeto, sembrano conservare qualcosa degli ideogrammi ed è necessario sforzarsi per comprenderne la piena dimensione.
Bisogna essere in grado di sincronizzare la propria anima con quel delicatissimo equilibrio che solo la cultura del Sol Levante sembra riuscire, come per magia, a creare, tra il desiderio più scabroso e l’anima nel suo stato più puro.
Non è facile, lo ammetto: noi occidentali tendiamo facilmente a perdere l’equilibrio.
Ma una volta preso il ritmo e sincronizzato lo spirito, si apre un mondo in cui le relazioni umane brillano di una luce tutta diversa, ogni ombra assume un significato, tutte le anime hanno un colore ed è impossibile conoscere il proprio se non imparando a guardarlo attraverso gli occhi degli altri.
Ho amato molto L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio, perché mi ha dato le parole per descrivere quello che provo quando leggo Murakami, mi sento esattamente come Tsukuru:
“Anche se di solito non ne era consapevole, aveva sul proprio corpo un punto estremamente sensibile. Si trovava da qualche parte sulla schiena. Era una parte morbida e delicata, che la sua mano non riusciva a toccare, e normalmente era coperta e non si vedeva. Ma succedeva che all’improvviso, quando meno se lo aspettava, quel punto si ritrovasse esposto e venisse sfiorato dalle dita di qualcuno. Allora qualcosa si metteva in moto e secerneva una sostanza particolare. Quella sostanza si mischiava al flusso sanguigno, arrivando in ogni angolo del suo corpo, e generava in lui una grande sensibilità sia agli stimoli fisici che mentali”.
Al primo incontro con Murakami, ho sentito chiarissimamente un dito di chissà chi premere quella specie di interruttore sulla schiena. E’ stato speciale.
Ascoltatemi, vale la pena provare!
TITOLO ORIGINALE: direi che possiamo accontentarci di “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio”
AUTORE: Murakami Haruki
EDITORE: Einaudi
ANNO: 2014
PAGINE: 272
PREZZO: 20
CONSIGLIATO A: chi è alla ricerca del colore della propria anima